Avviso a tutte le mogli (e a tutti i mariti) che dopo la separazione non vogliono lavorare. Un intervento della Cassazione, in particolare la sentenza n. 24324 ha evidenziato, infatti, che se il divario fra i redditi della ex moglie e quelli percepiti dal marito, ancora in attività, non è attribuibile ad oggettive difficoltà di reperimento di un lavoro da parte della prima, ma solo a una sua tendenziale pigrizia, allora non le si deve mantenimento. E' emblematico di quanto sovente accada il caso affrontato dalla Suprema Corte: la donna benchè già lavoratrice con due esperienze alle spalle, era poi rimasta disoccupata per non essersi presentata all’ufficio di collocamento ciononostante avesse ricevuto la "chiamata" per una nuova occupazione, ed aveva, quindi, voluto trasferirsi presso la casa materna.Ma v'è di più. Nella fattispecie è stato provato che l’ex moglie percepisce mensilmente redditi derivanti dai canoni di locazione di un immobile di sua proprietà. Anche questa è un'ulteriore circostanza che le ha fatto perdere l’assegno di mantenimento. Rilevano in tal senso i giudici di legittimità che l’entrata periodica derivante dagli affitti migliora le condizioni economiche della donna riportandole su un piano paritario a quelle dell’ex marito. L’assegno di mantenimento, infatti, è finalizzato a riallineare le condizioni di reddito dei due ex coniugi, facendo sì che anche quello meno benestante possa godere, dopo la separazione, dello stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio. È evidente che, se in astratto le somme da pagare all’ex coniuge non risultano elevate (perché scarse sono le effettive possibilità del soggetto obbligato e non particolarmente agiato era il tenore di vita della coppia durante il matrimonio), anche la periodica percezione di una somma di poche centinaia di euro, come un canone di locazione, potrebbe essere di per sé sufficiente a riequilibrare i due redditi e, quindi, ad escludere l’assegno di mantenimento.
sabato 28 novembre 2015
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