Aveva solo 25 anni, Maria Elisa Missaglia, quando fu arrestata a Lecco dai tedeschi, deportata in Europa e sopravvissuta a tre campi di sterminio
nazisti, Mauthausen (Austria); Auschwitz (Polonia) e Ravensbruck (Germania). Quando tornò a casa, dopo 19 mesi trascorsi nei lager, dal marzo 1944
all'ottobre 1945, e dopo aver incrociato persino lo sguardo del dottor Morte Josef Mengele, pesava 29 chili e aveva resistito al desiderio di buttarsi nel filo spinato elettrificato per porre fine alle sue sofferenze. Il prossimo 31 gennaio saranno trascorsi 15 anni dalla morte, a 83 anni, di Maria Elisa Missaglia, originaria di Lecco (Lombardia), sposata nel 1946 con il pescarese Gabriele Giurastante, deceduto nel 2006 e madre di tre figli, Rita, Antonella e Biagio. Con la famiglia abitava ai Colli. Madre e moglie esemplare, decenni dopo i lager decise di rompere il silenzio e raccontare la sua verità di internata numero 76147 nel libro scritto tredici anni fa dalla figlia Antonella insieme alla docente (all'epoca, studentessa universitaria) Flavia Florindi. Nel 2001 insieme a Ermando Parete e Luigi Varrasso, entrambi scomparsi e sopravvissuti a Dachau e Buchenwald, ricevette la medaglia d'oro consegnata ai tre deportati dalla Provincia di Pescara, all'epoca guidata da Giuseppe De Dominicis. Come si sopravvive a tre campi di sterminio? Maria Elisa ci riuscì "solo grazie al pensiero del dolce viso della mia mamma"Giuseppina Rusconi, moglie di Enrico Missaglia, caporeparto di una fabbrica lecchese per la trafilatura dei fili in acciaio dove lavorava come operaia e dove fu arrestata dai fascisti il 7 marzo 1944 durante uno sciopero proclamato dal Comitato di Liberazione nazionale. Erano le 10 del mattino. Suo padre tentò di strapparla alla ferocia dei questurini ma i tedeschi gli puntarono un mitra alle spalle. Dal quel momento iniziò il suo inferno. In treno fino a Bergamo, poi, prima fermata a Mathausen:"Ci dicevano di non preoccuparci perchè saremmo tornate a casa presto, ma fummo sistemate accanto a scheletri. Ci ordinarono di spogliarci, rimanemmo nude davanti alle SS
che ci guardavano, che umiliazione. Nella stanza accanto ci arrivavano le urla delle persone che stavano torturando". Qualche giorno dopo, di nuovo in
viaggio verso Auschwitz passando per le prigioni viennesi. Nel campo polacco le venne tatuato il numero sul braccio sinistro 76147 e il 7 divenne il suo
numero sfortunato: arrestata il 7, deportata il 17 , liberata il 27 ottobre 1945 da Auschwitz dove subì ogni genere di vessazioni psicologiche e fisiche:"
Dalla doccia con l'acqua bollente che diventava di colpo ghiacciata al taglio dei peli, ci tagliuzzavano provocandoci ferite infette. Le kapò donne che ci
controllavano erano più feroci degli uomini, noi italiane venivamo disprezzate, calunniate, ci chiamavano puttane, ci prendevano a legnate, infilavamo le
mani nel fango e rubavamo patate, rape, fave e cicoria selvatica, mangiate crude per sopravvivere". Missaglia non dimenticò mai di Auschwitz
(Oswiecim, in polacco) la sveglia di soprassalto in piena notte, gli appelli al gelo, ore e ore in piedi sotto la pioggia e chi sveniva veniva eliminato
all'istante. Alle donne, il ciclo mestruale veniva bloccato "con degli strani intrugli mischiati al cibo". Un supplizio quotidiano, come la convivenza con la
paura di diventare cavie per gli esperimenti dei dottori della morte, come Mengele:"Era un bel giovane, aveva un aspetto distinto e non sembrava un criminale". Ultima tappa, la prigione femminile di Ravensbruck prima della liberazione, 72 anni fa e il ritorno alla vita "una vita normale se non fosse stato per i campi di sterminio".
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martedi 31 gennaio 2017
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