domenica 6 agosto 2017

LUIGI ALBORE MASCIA: VORREI TORNARE A FARE IL SINDACO E RICONQUISTARE IL CUORE DEI PESCARESI

Lo diceva sempre, scherzando, ai compagni del liceo classico: "Vorrei diventare sindaco di Pescara". Più di venti anni dopo, ci riuscì Luigi Albore 
Mascia a coronare quel sogno. Era il 2009 e furono cinque anni intensi alla guida di una "città che ha voglia di grandi eventi". Ma quando il mandato finì, 
al "sindaco di parola", come recita un suo slogan elettorale, quel sogno rimase dentro come una incompiuta. Come un foglio vergato con inchiostro 
indelebile. E oggi, tre anni dopo la fine di quella galoppata, il desiderio è ancora irrefrenabile:"Voglio tornare a fare il sindaco e riconquistare il cuore dei 
pescaresi". Lo "sente nel destino" che tornerà alla guida di palazzo di città dove oggi occupa lo scranno di consigliere d'opposizione. Avvocato 
penalista, 51 anni, Luigi Albore (con l'accento sulla o) Mascia, sposato dal 2014 con Letizia Lizza ( figlia di Carlo, noto promotore culturale pescarese), 
lei stessa operatrice culturale del museo delle Genti e madre di Andrea e Caterina, 21 e 18 anni, venne alla luce il 18 settembre 1965 in una abitazione di via Roma ("all'epoca era tradizione nascere in casa") nel contesto "di una famiglia borghese, d'altri tempi" dove vigeva la rigidità educativa, il rispetto per le cose e per il prossimo. Da suo padre Fernando, "eccellente civilista" napoletano del rione Sanità, ereditò la passione per l'arte forense "e anche un pò di genialità ed estro misti a fatalismo " tipici delle genti partenopee. E da mamma Alfonsina Forattini, parente del famoso vignettista Giorgio, milanese di piazzale Loreto, acquisì "quell'operosità lombarda" che gli marchiò il carattere di persona "che programma ogni cosa in maniera maniacale e meticolosa". Tanto da spingerlo ad autodefinirsi simpaticamente "un chiovo". I suoi genitori, che si conobbero durante una vacanza di lei a Pescara ("mio padre ci abitava, lavorava nell'ex tribunale di piazza Alessandrini dove io lo seguivo sempre da fanciullo") sono scomparsi da tanti anni, ma di loro Albore Mascia ricorda "la grande eleganza nei modi e nell'abbigliamento, con papà che non usciva mai di casa senza il suo fazzoletto nel taschino e le sue cravatte impeccabili". Il cruccio che si trascina dietro da sempre è "non aver potuto dare loro la gioia di vedermi con la fascia tricolore addosso". Figlio unico, frequenterà le elementari e medie alla Mazzini, il liceo classico D'Annunzio:"Ero un predestinato, mia nonna Italia Albore, classe 1895, era tra le fondatrici dell'istituto di via Venezia dove insegnava scienze naturali e nel 1915 era una delle due donne che frequentavano l'università Federico II di 
Napoli. Fu lei a insegnarmi a leggere e scrivere". Quindi studente universitario alla Cattolica di Milano e poi a Teramo e un passato da giornalista televisivo ad Antenna 10, emittente guidata da Vincenzo Lanetta, al fianco di Gioia Salvatore, Gino Di Tizio, Tonino Anzini e Claudio Sghettini. 

Dunque, al liceo nacque la sua passione per la politica?
Si, fui rappresentante di classe e di istituto. Mi facevo portavoce delle istanze di tutti e ai miei compagni, tra cui Gaetano Marano, Virgilio Golini, Marco de 
Benedictis, Fabrizio Santamaita, dicevo sempre: vorrei diventare sindaco di questa città. A 18 anni, in terza liceo, varcai la soglia della sezione del 
Partito Repubblicano, pur essendo la mia famiglia di estrazione democristiana, ero affascinato dall'ideologia mazziniana. In seguito entrai nel consiglio nazionale dei giovani repubblicani, quindi la gavetta nel consiglio di quartiere di via Galiani accanto a Raffaella Cascella, Gianni Vecchiati, Ernesto Grippo, Riccardo Padovano, Lorenzo D'Incecco. Poi consigliere comunale nel 1998, assessore, capogruppo, sono stato tutto in politica tranne presidente del consiglio comunale. All'età di 35 anni ero uno dei più giovani assessori della giunta di Carlo Pace (Anni Duemila) insieme a Daniele Toto e Berardino Fiorilli".

Il suo ricordo dello scomparso Carlo Pace?
Era un sindaco bravo, ci guardava con bonomia paterna, ci dava grande libertà d'azione e fiducia. A me diede l'incarico di creare lo sportello per le 
Attività produttive che ancora oggi aiuta a semplificare la vita amministrativa dei cittadini. Entrambi abbiamo coltivato il sogno di realizzare un teatro a 
Pescara, ma evidentemente a qualcuno non va giù che la città abbia una struttura che non sia monumentale ma che sia luogo di produzione teatrale, 
intrattenimento e business.

Poi toccò a lei. Dal 2009 al 2014 alla guida della città. Come ci arrivò?
Tre volte candidato sindaco. Nel 2008 persi il confronto con Luciano D'Alfonso che aveva una popolarità notevole e il favore del pronostico. L'anno successivo battei Marco Alessandrini, fu premiato il mio precedente sacrificio, ebbi il vento favorevole. Quel giorno, era giugno ma non ricordo il giorno ero frastornato, fu un turbinio di emozioni, non vedevo l'ora di abbracciare tutti e cominciare a lavorare. Ora sono pronto per tornare, questa volta per riconquistare i cuori dei pescaresi che comunque hanno sempre manifestato affetto e fiducia nei miei confronti. Sono maniacale con le carte e prima di firmare ci penso ci tante volte, per questo restavo tanto tempo in ufficio. Oggi uscirei più dal palazzo per stare tra la gente.

E da dove ricomincerebbe? 
Da dove abbiamo lasciato, con la squadra bella e formidabile che avevo: dalla pedonalizzazione delle strade dopo via Battisti e dintorni, al ripristino del 
collegamento con la Croazia, il teatro, i grandi eventi sportivi, indimenticabile l'incontro con Arrigo Sacchi e i progetti con la nazionale italiana, il porto, i 
fondali, il mare, le fontane, altro mio pallino. 

Considera una retrocessione fare il consigliere dopo essere stato sindaco?
Assolutamente no. La mia non è una opposizione urlata, ma autorevole e pacata. C'è un tempo per ogni cosa.

Il suo rapporto con Alessandrini?
Quando diventò sindaco, gli consegnai la fascia con gioia, senza invidia nè rancore. Chi mi conosce sa che dico il vero. 
Ultimamente sono amareggiato. Mi sarei aspettato una sua telefonata alla vigilia della inaugurazione del ponte Flaiano, a cui abbiamo lavorato tanto nel 
passato per arrivare al risultato di oggi e per ricordare ciò fummo costretti a fare la preinaugurazione. Da Alessandrini neppure un cenno di scuse nè la 
delicatezza che ebbi quando contattai D'Alfonso per chiedergi di essere presente all'inaugurazione del ponte del Mare. Lui venne ma fece la sua inaugurazione plateale dalla parte del ponte di Portanuova. Non so perchè lo fece.  


Quando parla di sua moglie Letizia le si illumina lo sguardo. 
Si vede tanto? (ride) . Ci perdemmo di vista al liceo e ci ritrovammo nel 2011 in un autogrill a Carsoli. Letizia è una grande intellettuale, ci sposò in Comune, ad un mese dalla fine della consiliatura, lo storico Giordano Bruno Guerri, autore di un libro struggente su Van Gogh, nostra grande passione oltre a quella per i viaggi, che regalammo agli invitati come bomboniera. I suoi figli sono un dono della Provvidenza, la mia famiglia rende la mia vita a colori. Ma vorrei ringraziare una persona.Gianni Melilla. Per avermi spinto a conoscere la realtà africana, kenya, Burundi, Etiopia, dove tanti progetti solidaristici abbiamo realizzato con Pino D'Atri di Missione Possibile. 

Cosa altro vorrebbe che gli altri sapessero di lei?
La mia riservatezza, timidezza, l'educazione all'antica che ho ricevuto, mi impediscono spesso di farmi conoscere per ciò che sono davvero. Sembro austero, in realtà sono persona garbata, formale, disposta all'amicizia. 
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cinzia cordesco
6 agosto 2017

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