martedì 22 agosto 2017

MICHELA CORTINI UNIVERSITA' DANNUNZIO: ECCO LE PROFESSIONI PIU' STRESSANTI

Lo stress è inquadrato dagli esperti come una malattia professionale. Un tempo, decenni orsono, i lavoratori particolarmente stressati erano i minatori e i baristi, secondo alcune statistiche risalenti agli Anni Ottanta. Oggi i soggetti a rischio sono gli operatori di call center, i tassisti, gli insegnanti, gli infermieri, chiunque operi nel sociale, tanto per citarne alcuni. Ma non esiste categoria professionale che non abbia il suo livello di stress, più o meno elevato. Conseguenza del cambiamento dei tempi è lo "sfinimento da lavoro", come viene definito da Michela Cortini, pescarese di origini romagnole, docente del Dipartimento scienze Psicologiche e direttrice del laboratorio Business Psychology dell'università D'Annunzio Chieti-Pescara, relatore nei giorni scorsi del convegno:" La disabilità da evento lavorativo: malattie professionali", svoltosi nella sala Camplone della Camera di
Commercio, e promosso dalla Uil Abruzzo, Dipartimento Salute, Sicurezza e Ambiente.

Professoressa Cortini, in che modo il cambiamento dei tempi può determinare uno stato di tensione emotiva tale da classificare lo stress come una malattia professionale?
Fino agli Anni Ottanta vigeva il posto fisso. Chi entrava in una azienda, molto spesso ci restava tutta la vita e aveva la certezza di poter contare su uno stipendio mensile per mantenere la famiglia e occupare un ruolo in società. Qualcuno poteva aspirare a fare carriera per mantenere un decoroso tenore di vita. Un tempo anche l'ultimo dipendente Fiat accettava l'umiltà del proprio lavoro, che però nessuno gli portava via spesso per tutta la vita. Oggi, nulla è più così. Un'azienda media sopravvive circa 15-20 anni. Chi si laurea attualmente rischia di cambiare almeno di dozzina di organizzazioni aziendali. Perdere il posto e cercarne un altro procura stress che ha un impatto potente sulle dinamiche sociali e familiari. Il cambio di mansioni nell'arco di un tempo limitato,il cambio del meccanismo contrattuale, della geografia di residenza e quindi il cambio del tessuto sociale, minacciano il senso di continuità identitaria con conseguenze anche sulla vita privata. Reinventarsi continuamente una vita e una carriera, è molto pesante. Anche vedersi rubare il lavoro dalla macchine, ha ripercussioni negative sulla vita di ciascuno.



Quali sono le attività o i mestieri potenzialmente a rischio?
Quello degli insegnanti, degli infermieri, di tutti gli operatori del sociale, in generale, soggetti predisposti a sfinimento da lavoro. Una statistica degli Anni Ottanta riferisce che i minatori pativano lo stress correlato al carico di lavoro contestuale, alla costrizione fisica ambientale. Oggi tra le categorie più minate vi sono, per esempio, gli operatori di call center che subiscono la forte pressione di non potersi allontanare dagli script e non poter imporre all'interlocutore la propria personalità e forza contrattuale. Persone, spesso donne, che hanno turnazioni h 24 massacranti e sottopagate. Le forme contrattuali precarie non danno sicurezza al lavoratore che così va in crisi. Ciò impatta la progettualità di vita delle persone che sono costrette a rimandare un matrimonio o rinunciare ad una gravidanza. Fattori, come tanti altri di conseguenza, che incidono sul benessere psicofisico di ciascuno. Anche i tassisti vanno sotto pressione perchè esposti al rischio criminalità. Altre fasce deboli sono gli immigrati perchè si devono confrontare con usi e costumi diversi. I disabili? Anche, ma sono più protetti da reti sociali e familiari.

Sono più a rischio gli uomini o le donne, i giovani o i meno giovani?
Le donne sono più stressate. Non solo dal carico di attività quotidiane: lavoro, casa, famiglia e tantissimi altri impegni spesso non supportati dalla presenza maschile e l'Abruzzo è una regione che ha un retaggio di maschilismo molto pesante. A fronte di tante pressioni, le donne non ricevono adeguati compensi economici rispetto agli uomini. Le statistiche indicano che ad uguale mansione non corrisponde uguale stipendio. Più fragili dei giovani, sono i lavoratori tra i 38 e i 58 anni , un'età in cui difficilmente si ritrova lavoro con genitori anziani da accudire e figli piccoli da far grandi, i quali a causa di pressioni economiche si sentono stritolari in una morsa.

I giovani sono al riparo?
No, ma il problema è che hanno attese più elevate quando sono laureati e titolati. Per la serie: tanto più sono titolato, tanto meno ricevo, tanto più mi sento minacciato. Ma la loro fragilità è conseguenza di un cattivo esempio genitoriale che mira fin dalla teneressima infanzia, dall'asilo all'università, a spianare la strada ai figli. A evitare loro gli ostacoli cercando loro stessi il lavoro ai figli magari ricorrendo a sotterfugi e chiedendo raccomandazioni, annullando oni ipotesi di meritocrazia. La conseguenza è che a 30 anni i giovani sono incapaci di gestire la ricerca di un mestiere. Gli italiani non hanno il nerbo e si scontrano da un lato con un mondo del lavoro che richiede dinamicità e dall'altro lato devono fare i conti con una fragiilità infinita. I guai educativi si rispecchiano, poi, a livello sociale. Prevedo che i giovani Kosovari verranno presto a rubarci il lavoro perchè hanno ambizioni e capacità imprenditoriali da prendere ad esempio.

Le malattie professionali si riflettono anche sul fisico ?
Più del 60 percento riguardano l' apparato muscolo scheletrico e l'apparato digerente. Lo stress positivo è la giusta risposta ad una minaccia che permette all'uomo di sopravvivere, ma se ha una continuità eccessiva lo stress è negativo e ha ripercussioni sul fisico oltre che sulla mente.
martedi 22 agosto 2017

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