Pensare, e dire, che il membro si erge davanti ad una signora, non e' reato. Se davanti ad una lei, egli si drizza, e lui lo dice esplicitamente, non puo' essere condannato per ingiuria. L'autocelebrazione degli attributi maschili non offende le donne.
Il gergo maschilista al quale si ricorre davanti al gentil sesso può essere compreso tra le espressioni di 'volgare autoreferenzialità' ma non può essere condannato come ingiuria.
La Cassazione è arrivata a queste conclusioni occupandosi del caso di un 55enne dell'Aquila condannato a 11 mesi e 10 giorni di reclusione per violenza sessuale e per ingiuria nei confronti di una collega costretta a subire contro la propria volontà una pacca sul sedere accompagnata dall'espressione di stampo maschilista 'Giuseppì... stasera ho un c...'.
Gesti e parole sono finiti davanti al giudice che sia in primo che in secondo grado (Corte appello dell'Aquila, 15 novembre 2012) ha condannato l'impiegato per violenza sessuale e per ingiuria per avere leso l'onore e il decoro della collega pronunciando davanti a lei la frase ingiuriosa.
Per i supremi giudici, che hanno confermato la condanna per violenza sessuale annullando quella per ingiuria, "pur essendo indubbia la terminologia volgare e ineducata delle specifiche parole ricomprese nella frase contestata", quel 'Giuseppì stasera ho un c...' su cui si è concentrata l'attenzione dei giudici per il termine usato, accompagnato dalla pacca sul sedere condannata, c'è un "inequivoco riferimento dell'imputato non già all'interlocutrice, bensì a se stesso" e per questo, in "assenza di offesa alla dignità altrui", hanno decretato "la non integrazione del reato contestato" relativo all'ingiuria.
venerdi 17 ottobre 2014
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