'Domenica notte ho sognato Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo. Si trovavano in una grande casa che si trasformava in tribunale, lui indossava un berretto di lana che non portava mai e lei girava per le stanze in vestaglia. In questi 23 anni ho sempre desiderato che il magistrato mi venisse in sogno, mi parlasse anche se non ricordo le sue parole nel sogno, si facesse vivo con me, ma non era mai accaduto finora. Forse e' un segno per il Paese, forse sta per succedere qualcosa'. Cosi' profetizza il sopravvissuto Giuseppe Costanza, 68 anni, l'autista del giudice saltato in aria nella strage di Capaci il 23 maggio 1992, silenziosamente presente al 23°convegno nazionale dell'Unms, Unione nazionale mutilati per servizio, svoltosi a Montesilvano, provincia di Pescara. Sa di essere un miracolato, ma 'nessuno mai, in questi anni, a partire dalle istituzioni, mi hanno mai perdonato di essere vivo'. La mattina della strage, 'Giovanni Falcone mi chiamo' a casa alle sette. Mi chiese di andarlo a prendere all'aeroporto di Punta Raisi nel pomeriggio, in arrivo dalla capitale. Era euforico come quando, qualche giorno prima quando mi disse:' e' fatta, guidero' la procura nazionale antimafia. Appena sceso dall'aereo, Falcone si mise al volante della Croma bianca per stare accanto alla moglie, perche' lui guidava solo quando c'era lei. Io ero seduto sui sedili dietro. Eravamo diretti verso casa sua, ma pochi attimi prima che il tritolo ci investisse, mi disse che lui doveva proseguire, andare ad una riunione con altri magistrati, ma non spiego' dove e con chi. Quindi gli chiesi quando sarei dovuto tornare a prenderlo, lui rispose:'lunedi' mattina' e gli feci una richiesta:' Allora appena arriva a casa cortesemente, mi dia le mie chiavi in modo che io lunedì mattina possa prendere la macchina. Inavvertitamente pero', forse sovrappensiero, lui stacco' le chiavi dal quadro, l'auto rallento' e tutto cio' che ricordo e' che mi sono risvegliato in ospedale con milza e intestino lesionati. Ecco perche' anch'io, oggi , sono un invalido per servizio e rappresento la delegazione palermitana dell'associazione, seppur talvolta con qualche divergenza di pensiero'. I ricordi cari si intrecciano nella mente. Comprese le simpatiche scaramucce col giudice Falcone:'Fumava sempre in macchina, io protestavo ma lui rispondeva: il fumo ammazza mosche e zanzare'. Dice di essere in guerra con le istituzioni, Costanza, 'perche' da sempre mi hanno fatto pesare di essere un sopravvissuto. Mi sento in colpa per essere vivo. In tutti questi anni non sono mai stato invitato a parlare ai convegni sulla legalita'. Dopo mesi di convalescenza, a seguito dell'attentato 'tornai al lavoro al tribunale di Palermo, ma da subito venni retrocesso nelle mansioni. Prima portiere, poi dattilografo, quindi reinserito nei ranghi dopo aver vinto un concorso come esperto informatico'. Seguono 'anni tremendi, impossibili da sopportare per il clima di diffidenza che si era venuto a creare intorno a me', quindi la resa. Nel 2004 abbandona il tribunale, lascia Palermo con moglie e tre figli e si trasferisce ad Altavilla, una trentina di chilometri piu' lontano. Oggi e' in pensione, 'gioco con i nipotini', ma 'non ho mai dimenticato. Non meritavo il trattamento umiliante che alcuni servitori dello Stato mi hanno riservato' dopo la morte di Falcone. Costanza e il magistrato si conobbero una settimana dopo la sua entrata in servizio come dipendente del tribunale palermitano. 'Mentre svolgevo i miei lavori, Falcone mi passo' davanti per una settimana, scrutandomi. Prese informazioni su di me. Poi mi fece chiamare in ufficio e mi disse di volermi affidare l'incarico di autista. Accettai con orgoglio. Per otto anni mi sono sentito la morte addosso. Paura? Piu' che altro, si viveva in costante tensione, conscio che qualcosa potesse accadere prima o poi. Il mio unico rimpianto e' essere sopravvissuto, avrei preferito essere morto. Ma se Falcone fosse vivo la mafia sarebbe sconfitta, perche' aveva capacita' e volonta' per batterla'.
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