Se al dirigente mancano personale e mezzi per lavorare al meglio, l'azienda e' tenuta a risarcirlo. Un’innovativa decisione in materia di mobbing arriva dalla sezione lavoro del Tribunale di Velletri. È La sentenza 1276/15, del giudice monocratico che ha
accolto il ricorso di una manager che aveva subito una serie di trasferimenti di cui uno ritenuto illegittimo perché
disposto senza dare il preavviso e sentire l’interessata (e i sindacati).
Per il giudice, spiega lo Sportello dei Diritti, tuttavia non è di per sé da ritenersi sfavorente il fatto che il dirigente sia spostato in una sede più piccola: la decisione datoriale potrebbe essere dovuta dalla esigenza di trasferire un lavoratore esperto in una struttura che ha problemi per risolvere le difficoltà. Anche se nella fattispecie non è così.
Accade, infatti, che non appena la dirigente prende posto nel nuovo ufficio, l’approvvigionamento dei mezzi necessari
per lavorare diventa insufficiente. Tutto ciò è confermato dai testimoni che sostengono che prima del trasferimento del
nuovo capo non vi erano queste difficoltà. In buona sostanza, per il togato è l’azienda a sgambettare la manager ormai
sgradita, non dotandola del personale sufficiente per svolgere il servizio.
E’ lo stesso giudice a sostenere che il comportamento del datore risulta «ostruzionistico e defatigatorio», mentre la
direzione dell’azienda evita i contatti personali e perfino telefonici con la dipendente, che tuttavia «continua a prestare
servizio con impegno».
Il comportamento datoriale, peraltro, è stato foriero di conseguenze sulla salute psico-fisica della dipendente tanto che
il consulente del giudice ha accertato che il mobbing ha determinato sulla donna un danno biologico permanente di
natura psichica pari al 15 %, stabilendo così un risarcimento di 25 mila euro – oltre alle spese di causa - in virtù delle
tabelle di Roma, preferite a quelle di Milano dal tribunale laziale perché «consentono una migliore personalizzazione del
danno sotto il profilo sociale e territoriale». Nel liquidare la suddetta somma, il tribunale ha rilevato che la dirigente
all’epoca dei fatti era prossima ai sessanta anni e aveva l’incarico di direttore di sede operativa, vale a dire un livello tale
da permetterle di superare il disagio lavorativo cagionato dall’illecita condotta del datore.
martedi 15 settembre 2015
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