venerdì 12 giugno 2015

DOPO LA GUARIGIONE IL VIRUS EBOLA RESISTE NEGLI OCCHI PER 10 SETTIMANE

Secondo una ricerca della Flinders University di Adelaide in Australia, il virus dell'ebola può rimanere in agguato nel fluido oculare per 10 settimane quando non è più individuabile nel sangue del paziente. Lo hanno rilevato i ricercatori che hanno studiato i risultati delle condizioni del sopravvissuto all'ebola dott. Ian Crozier, il medico specialista di malattie infettive che lo scorso agosto contrasse la malattia mentre trattava pazienti in Sierra Leone. Crozier che è sopravvissuto è stato dichiarato libero dal virus dopo la 'scomparsa' nel sangue, ma dopo due mesi il fluido oculare è risultato positivo all'ebola. L'oftalmologa Justine Smith in una intervista rilasciata al New England Journal of Medicine ha dichiarato che la scoperta del virus nel fluido limpido nell'occhio, fra la lente e la cornea, può avere forti implicazioni per chi ha sopravvissuto all'ebola e per il personale medico-sanitario che lo ha trattato. Secondo la ricercatrice "vi è la possibilità che le persone che sopravvivono all'ebola, forse anche metà di esse, possano poi contrarre gravi infiammazioni all'occhio".  Secondo la studiosa, una grave infiammazione agli occhi può danneggiare molti tessuti delicati e causare cataratte, glaucoma o gonfiore della retina, danneggiando la vista anche irreversibilmente. "Sappiamo che vi sono meccanismi nell'occhio che limitano l'infiammazione bloccando l'azione immunitaria. Di conseguenza i patogeni come i virus possono persistere nell'occhio senza essere attaccati dal sistema immunitario, come avverrebbe in altre parti del corpo", spiega la studiosa. Si tratterà ora di stabilire perché il virus dell'ebola persiste nel fluido oculare, ma i ricercatori assicurano che non potrebbe essere trasmesso ad altre persone. Il rischio di esposizione al virus può esistere però in situazioni come la chirurgia oculare, per i presenti in sala operatoria. Secondo Smith i sopravvissuti all'ebola dovrebbero essere monitorati per individuare possibili effetti collaterali di lungo termine. La scoperta tuttavia aiuterà a sviluppare futuri trattamenti per la letale malattia. 
venerdi 12 giugno  2015
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