'Secondo un Rapporto Censis del 2006- si legge sul sito del Senato della Repubblica- i caregivers di famiglia, coloro i quali seguono e assistono persone disabili gravi e gravissime in ambito familiare, in Italia, sono principalmente donne (76,6 per cento), generalmente mogli e figlie che ospitano il malato in casa (più dell'80 per cento). Inoltre, si tratta in prevalenza di caregivers in età attiva (51,6 per cento tra 46 e 60 anni di età), di cui il 45,7 per cento ha problemi di lavoro: di questi il 16,1 per cento lo ha dovuto lasciare il lavoro, il 32,1 per cento ha chiesto il part-time, un altro 33,9 per cento ha dovuto cambiare attività, il 3,6 per cento è stato licenziato. Inoltre, il 53,6 per cento dei caregivers lamenta sonno insufficiente e l'87,3 per cento stanchezza: oltre ai costi misurabili, il caregiver subisce, infatti, la fatica, l'isolamento sociale, la riduzione della qualità della vita e la compromissione delle relazioni familiari. Si stima che più del 50 per cento dei caregivers primari è a rischio di depressione, presentando ansia, insonnia, difficoltà a concentrarsi sul lavoro.
Si tratta di figli, coniugi, genitori che assistono un familiare con disabilità grave o gravissima, o un anziano malato e che, a volte, sono costretti a licenziarsi per dedicarsi ai loro cari, giorno e notte, in assenza di servizi adeguati sul territorio. I caregivers di famiglia svolgono gratuitamente un lavoro di «cura invisibile», un lavoro di supplenza rispetto allo stesso dovere di tutela della salute e di solidarietà che, secondo gli articoli 2, 3, e 32 della Costituzione, spetta direttamente allo Stato. Nel nostro Paese, quindi, la figura del caregiver è di fondamentale importanza per la stessa tenuta del tessuto sociale. Così, mentre in Italia tali figure non sono adeguatamente riconosciute, anche in termini economici, nei principali Stati membri dell'Unione europea, al caregiver non solo sono attribuiti specifici compensi, ma anche una serie di strumenti di tutela che riconoscono a livello giuridico il valore di questo lavoro di cura, anche per la collettività. In tema di lavoro, tra l'altro, la Corte di giustizia europea, con la «sentenza Coleman» (17 luglio 2008, C-303/06, S. Coleman -- Attridge Law, Steve Law), ha stabilito che il divieto di discriminazione per ragioni di disabilità si applica non solo alla persona interessata ma anche a chi l'assiste -- sulla stessa scia, anche la direttiva comunitaria 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, recepita dall'Italia nel 2003.
Nell'ordinamento italiano, però, questo principio non ha ancora trovato piena attuazione: proposte di legge per l'anticipazione del pensionamento dei familiari di disabili gravi giacciono in Parlamento addirittura sin dalla XIII legislatura. Oggi, in un momento di crisi economica come quello che sta attraversando il nostro Paese, è necessario mettere in campo politiche di ampio respiro capaci di ridisegnare il sistema sociale italiano, evitando di intervenire soltanto con provvedimenti mirati a scongiurare nel breve periodo l'emergenza. In tal senso, il primo obiettivo deve essere la salvaguardia delle strutture sociali fondamentali per lo sviluppo del Paese e, nel rispetto del combinato disposto degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, primi fra tutti quei nuclei familiari particolarmente fragili che si fanno carico dell'assistenza, cura, educazione e crescita di figli diversamente abili'.
lunedi 7 luglio 2014
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